Ostinarsi a sperare

Pubblicato: gennaio 25, 2011 in Orizzonti

Daria ed io abbiamo una comune ambizione: dare forma al domandare. Fare filosofia significa, per noi, cercare le parole giuste per formulare le nostre domande, sostarvi e poi osare una risposta soggettiva, ovvero scegliere quale forma dare al proprio cercare. Cercare e trovare le parole giuste per dire la propria domanda significa scegliere se stessi invece di assumere passivamente la forma che si riceve quotidianamente dagli altri, significa dare forma e consistenza, quindi sostanza, alla propria vita. Si tratta di un agire concreto che ha ricadute concrete: consente di ostinarsi a sperare. Per questo non possiamo trattenerci dal fare filosofia. A noi piace fare su e giù per le scale senza aggrapparci alla “ringhiera”. Tradiremmo tutto ciò che studiamo, che pensiamo, che scriviamo se ci aggrappassimo ad una ringhiera. Siamo come il bambino che nella bella favola “I vestiti del re”, davanti alla nudità del sovrano, invece di dire “Che bel vestito ha il re!”, ci guardiamo, sorridiamo e diciamo “Il re è nudo”, cercando di comprendere perché altri vedano vestiti laddove non ve ne sono.

Se un filosofo si pone come colui che dal suo cilindro magico tira fuori la soluzione ad un problema, temo quell’uomo. Altresì lo temo allorquando il suo pensiero dimentica l’origine da cui discende: la libertà. Mai come negli ultimi tempi questa parola è stata così violentata ed abusata. Crediamo un po’ tutti di essere liberi, di sapere cosa la libertà rappresenti. Eppure, con molta tristezza, mi guardo intorno e vedo che della libertà non ne rimane che il cadavere. Forse, come ha scritto la Arendt, la libertà è proprio questo “andare su e giù per le scale senza ringhiera”, perché se è vero che la ringhiera (i valori) ti può essere data e tolta, e quindi sostituita, è pur altrettanto vero che sei solo e sempre tu responsabile dei tuoi passi, del tuo “fare su e giù per le scale”, delle tua cadute e delle tue risalite, dei tuoi saltelli e del tuo rimanere ferma.
È rischioso imparare a camminare senza ringhiera – chi ha esperienza con i bambini lo sa: il timore della caduta e della paura è molto. Eppure non possiamo che ripeterci, in ogni situazione in cui il timore ci afferra, che “la paura dell’errore fa errare” (Hegel): proprio quando permettiamo alla paura di sbagliare di prenderci, allora è davvero la volta buona che si sbaglia.

Con Daria ci è venuta questa idea – manifestare a Roma e parlarne attraverso un blog – confrontandoci sullo stato attuale delle cose in Italia, con particolare attenzione al versante della cultura. E ci siamo confrontate necessariamente anche sulle molte paure che ineriscono alla nostra idea: ce ne sono, sì! Due ricercatrici in filosofia – che patiscono quotidianamente la drammatica situazione della ricerca e del mondo universitario nel nostro amato paese – che si uniscono un po’ alla donchisciottesca maniera per fare cose del genere rischiano di essere facilmente etichettate come “illuse”, “sognatrici”, “idealiste”, “rivoluzionarie”… Ma Daria ed io non siamo fatte per le etichette: se ci sono state messe sulla fronte, le abbiamo ben presto tolte; se ci verranno nuovamente appiccicate, le toglieremo ancora. Non crediamo che questo sia il miglior mondo possibile, ma crediamo che sia l’unico che vogliamo abitare in modo autentico. E se per fare ciò dobbiamo sporcarci le mani con una realtà terribile – terribile perché ha smarrito il pudore, la vergogna e la passione per la conoscenza – lo facciamo.

Nietzsche scriveva: “Il deserto cresce. Guai a colui che fa crescere i deserti”. Ecco, vorremo proprio questo: impedire che il deserto dilaghi e occupi porzioni di terra che vogliamo ostinatamente sperare rimangano verdi.
Vorremmo che questo nostro blog venisse abitato da chiunque voglia pensare insieme a noi – perché di questo si tratta: pensare a una testimonianza di luce, e trovare la strada per darle una forma.

commenti
  1. Lucia Merli ha detto:

    grazie per aver scelto il mio dipinto,
    un cordiale saluto
    Lucia merli

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